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Il riassunto della Rivoluzione francese dal 1789 al 1799, per chiarirsi le idee
La Rivoluzione francese non ha certo bisogno di presentazioni. È stato uno degli eventi più importanti della storia, capace di segnare in maniera indelebile la Francia, l’Europa e più in generale tutto il mondo occidentale, sia direttamente che indirettamente. Proprio questa sua importanza, assieme alla sua durata, è però per gli studenti spesso un difetto: perché studiarla è difficile e complicato. E a volte c’è bisogno di un riassunto della Rivoluzione francese che possa mostrare i punti essenziali delle diverse fasi di quel poderoso evento storico.
Noi oggi cercheremo di soddisfare proprio quest’esigenza. Abbiamo infatti preparato un articolo che può sembrare lungo, ma che paragonato ai volumi di storia (e anche ai manuali delle superiori) presenta un estremo sunto di quello che accadde in Francia in quegli anni.
Partiremo, ovviamente, dal 1789, dall’anno chiave in cui si verificarono i primi clamorosi eventi, non disdegnando comunque di presentarvi anche le cause di quella rivoluzione. Poi procederemo gradualmente fino al 1799, cioè al colpo di stato che portò Napoleone Bonaparte al potere.
Le vicende dell’imperatore, infatti, furono in parte in continuità con gli esiti rivoluzionari, ma segnarono anche una cesura. Il generale corso cambiò ulteriormente faccia alla Francia e all’Europa, e quindi non ci sembrava coerente inserirlo in questa nostra trattazione. Casomai gli dedicheremo spazio altrove.
Abbiamo quindi a disposizione 10 anni: ecco come li sintetizzeremmo noi.
Indice
1. La prima fase: lo scoppio della Rivoluzione (1789/1791)
Alla fine del XVIII secolo, la Francia non versava in buone acque. Tra il ‘600 e il ‘700, grazie soprattutto alla politica di Luigi XIV, era diventata una delle principali potenze mondiali, forte di un esercito solido e di buoni legami politici con altri paesi. Inoltre era anche il baricentro culturale dell’Europa, grazie soprattutto all’Illuminismo.
A questo avanzamento politico, filosofico e militare non corrispondeva, però, un uguale progresso economico. Le casse dello Stato, in particolare, versavano da tempo in condizioni drammatiche. Proprio la politica espansionistica del Re Sole, infatti, aveva fatto decollare il debito pubblico, e tutti i tentativi messi in atto nel Settecento per arginarlo erano falliti.
D’altra parte, è vero che proprio in Francia l’Illuminismo trovò casa, ma è anche vero che le riforme che gli illuministi proponevano vennero messe in atto in vari paesi europei ma non in Francia. Gli intellettuali, infatti, raccomandavano riforme fiscali, economiche e politiche che però proprio nel loro paese d’origine venivano snobbate.
Questa arretratezza si notava particolarmente rivolgendo lo sguardo verso la corte. Luigi XIV e i suoi successori si consideravano sovrani assoluti per diritto divino: vivevano nel lusso e sembravano il più delle volte indifferenti ai problemi del popolo.
Dal canto loro, i nobili – che pure avevano perso buona parte del loro potere politico – condividevano quel lusso. Il fatto più grave, dal punto di vista economico, era però che né gli aristocratici né la Chiesa pagavano le tasse.
Gli Stati Generali
Per tutti questi motivi, verso la fine del secolo Luigi XVI – sovrano dal 1774 – fu costretto a convocare gli Stati Generali, una vecchia assemblea di origine medievale in cui trovavano rappresentanza le varie componenti dello Stato (nobili, clero e cosiddetto Terzo Stato, cioè sostanzialmente la borghesia).
Lo scopo di Luigi era quello di presentare a questa specie di parlamento la gravità della situazione economica, convincendo i delegati a varare nuove tasse che avrebbero permesso alle finanze pubbliche di rifiatare. La situazione, però, gli sfuggì presto di mano, perché il Terzo Stato colse l’occasione per proporre cambiamenti più radicali.
Stanchi di sostenere da soli l’intera economia del paese, i rappresentanti del Terzo Stato volevano infatti colpire i privilegi dei nobili e della Chiesa. E quando capirono che il re era disposto ad assecondarli solo fino ad un certo punto, decisero di osare.
Nel giugno 1789, trovando chiusa la sala del palazzo di Versailles in cui erano soliti riunirsi con gli altri delegati, si spostarono in una sorta di palestra in cui si giocava alla pallacorda e si costituirono in Assemblea nazionale.
In questo modo, quei deputati (a cui si unirono poi, volenti o nolenti, buona parte degli altri) si impegnavano a dare alla Francia una nuova Costituzione, che loro stessi avrebbero scritto. Il re, preso in contropiede, non poté che assecondare per il momento la cosa. Era cominciata la Rivoluzione.
Le prime riforme
Nel giro di poche settimane da quell’Assemblea arrivarono riforme epocali. Il 4 agosto abolì il regime feudale, sopprimendo tutti i privilegi della nobiltà e del clero. Il 26 emanò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, in cui si parlava di uomini che nascevano liberi ed uguali.
Dopodiché l’Assemblea iniziò a sopprimere tutti gli ordini ecclesiastici che non erano deputati a compiti di pubblica assistenza, requisendone le terre e i beni. Nel luglio del 1790 arrivò poi la Costituzione civile del clero, che equiparava i sacerdoti a funzionari statali.
Il 14 luglio 1789
Mentre i deputati – che si trovavano a Versailles – lavoravano a tutte queste leggi, a Parigi la situazione viveva momenti di tensione. Il 14 luglio 1789 il popolo attaccò la Bastiglia, simbolo dell’assolutismo. Poco tempo dopo le donne marciarono su Versailles, quasi obbligando il re e la famiglia reale a rientrare in città.
Infine, con la concessione della libertà di parola e di stampa sorsero numerosi giornali e club politici, in cui si discuteva il da farsi. La situazione era in fermento ed emergevano di continuo nuovi leader, con idee via via sempre più originali e, a volte, radicali.
2. La seconda fase: la Francia in guerra (1791/1793)
Tra il 1791 e il 1792 la Rivoluzione cambiò però volto. Due furono i principali fattori che spinsero verso nuove direzioni: da un lato il varo della prima Costituzione rivoluzionaria, quella del 1791; dall’altro lo scoppio della guerra, nell’aprile 1792.
Partiamo dal primo punto. Il lavoro dell’Assemblea nazionale giunse a termine proprio nel 1791, con l’emanazione della Costituzione. Essa era fondata sugli ideali illuministici, ma era anche frutto di un compromesso tra le frange più moderate e quelle più radicali.
Infine il potere esecutivo veniva affidato al
re, al quale era riservato il ruolo di nominare i ministri (che non
potevano però essere anche membri dell’Assemblea). Inoltre il re godeva
di un parziale diritto di veto sulle leggi del Parlamento. Il modello di
riferimento, insomma, era la monarchia parlamentare britannica.
La fuga del re e lo scoppio della guerra
Nel giugno 1791, però, il re dimostrò di non essere disposto ad accettare questa soluzione. Nella notte tra il 20 e il 21 giugno infatti fuggì in segreto da Parigi assieme alla sua famiglia, dirigendosi verso i Paesi Bassi Austriaci. Lì si erano già rifugiati, nei mesi precedenti, anche molti nobili che non accettavano gli esiti rivoluzionari.
La famiglia reale venne intercettata a Varennes, vicino al confine, e ricondotta a forza nella capitale. I rivoluzionari cercarono di giustificare con varie scuse la fuga, timorosi che il popolo inferocito facesse degenerare la situazione, ma molti cominciarono a dubitare della fedeltà del re e soprattutto della regina, l’austriaca Maria Antonietta.
Ad aggravare la situazione, come detto, nell’aprile 1792 scoppiò la guerra proprio contro l’Austria e la Prussia. Questi paesi temevano che gli ideali rivoluzionari si espandessero, ma anche i francesi desideravano un confronto che avrebbe permesso, secondo loro, di rafforzare i nuovi esiti politici e, forse, esportare la rivoluzione.
Fin da subito, però, i nemici della Francia sembrarono più forti, tanto da arrivar vicini all’invasione della Francia stessa. Questo allarmò i parigini, sempre più convinti che lo stesso re parteggiasse per il nemico e fosse in combutta con gli austriaci1.
Proprio il precipitare degli eventi spinse quindi i francesi a reagire. Il re venne arrestato nell’agosto 1792 su pressione dei sanculotti, i gruppi più radicali del popolo parigino2. Subito dopo, l’esercito ottenne un’importantissima vittoria a Valmy, con cui ricacciò indietro austriaci e prussiani.
La fine della monarchia
Sull’onda dell’entusiasmo per quel successo militare, le frange più estremiste cominciarono ad assumere sempre più potere, scendendo continuamente in piazza. Dopo l’arresto del re l’Assemblea decise, infatti, di scrivere una nuova Costituzione e per questo si elesse una nuova costituente, chiamata Convenzione.
Girondini e montagnardi
Lì emersero due gruppi politici principali, che provenivano dagli ambienti del club dei giacobini: quello dei girondini, più moderati, e quello dei montagnardi, più radicali. Entrambi volevano la repubblica e che il re venisse quindi esautorato. I primi, però, speravano che non si arrivasse a una condanna a morte, mentre i secondi volevano vedere Luigi XVI sulla ghigliottina.
Il giorno dopo la vittoria di Valmy, il 21 settembre 1792, la stessa Convenzione proclamò intanto l’abolizione della monarchia. Luigi XVI fu poi ghigliottinato pochi mesi dopo, nel gennaio 1793, grazie al peso sempre più rilevante assunto ormai dai montagnardi di Maximilien de Robespierre.
3. La terza fase: il Terrore giacobino (1793/1794)
Tra la primavera e l’estate del 1793 i leader girondini vennero quindi arrestati su pressione dei sanculotti, che avevano scelto di appoggiare proprio Robespierre. Fu quindi quest’ultimo a prendere in mano la situazione. La Convenzione infatti decise di formare un nuovo organismo emergenziale, il Comitato di Salute Pubblica, di cui lui divenne leader.
La maggioranza, all’interno di questo Comitato, era nelle mani dei giacobini (nome che i montagnardi ricominciarono ad usare, visto che tutte le componenti più moderate erano state nel frattempo epurate). Ispirato alla filosofia di Rousseau, Robespierre varò così una serie di riforme ancora più radicali, convinto di rappresentare pienamente la Volontà generale.
Fu però soprattutto per le scelte politiche che il
Comitato di Salute Pubblica segnò, nel bene e nel male, la storia.
Convinto che la rivoluzione fosse costantemente minacciata dalle forze
reazionarie, Robespierre sospese la nuova Costituzione (varata nel 1793
ma mai applicata) e fece mettere agli arresti una serie di oppositori.
Molti di questi vennero poi giustiziati.
Il Terrore
In meno di un anno, vennero messe a morte – secondo le stime degli storici – più di 40.000 persone, a volte colpite anche con esecuzioni di massa. Una cifra dieci volte più grande fu quella degli arrestati, in un clima di vero terrore e sospetto che segnò la pagina più nera della Rivoluzione.
Finirono quindi sulla ghigliottina personaggi celebri come Maria Antonietta ma anche alcuni degli stessi leader rivoluzionari come Jacques Pierre Brissot, capo dei girondini, Jacques-René Hébert, un giacobino che criticava Robespierre “da sinistra”, o Georges Jacques Danton, già presidente dello stesso Comitato di Salute Pubblica.
Insomma, nessuno era al sicuro. E fu anche per questo che presto i sopravvissuti si coalizzarono per far cadere Robespierre. Il 9 termidoro3 del 1794 l’Incorruttibile – com’era soprannominato – fu vittima di un colpo di stato. Arrestato assieme ai fedelissimi, venne ghigliottinato senza processo il giorno dopo.
4. La quarta fase: il Direttorio (1794/1797)
Tolto di mezzo Robespierre, le cose sembrarono per qualche tempo stabilizzarsi, in Francia. Anche se fu una stabilizzazione fondata ancora una volta sul sangue. Dopo la morte del “tiranno”, infatti, si scatenò in tutto il paese la vendetta degli uomini che erano stati incarcerati o perseguitati durante il Terrore.
Visto che la Costituzione
del 1793 era stata scritta ma mai applicata, inoltre, si decise di
provvedere alla stesura di una nuova Carta, la terza. Questa venne
varata nel 1795 e aveva natura più moderata della seconda. Soprattutto,
si premuniva di evitare che un uomo solo potesse di nuovo prendere il
potere. Anzi, il potere era così diviso che si rischiò spesso la paralisi.
Vi era un parlamento bicamerale eletto a suffragio ristretto, ma il potere esecutivo veniva affidato a un Direttorio formato da cinque membri. Proprio questo Direttorio riuscì ad ottenere importanti vittorie militari e a firmare una pace con Prussia e Olanda, che nel frattempo era entrata in guerra contro la Francia.
I conflitti
Rimanevano comunque in piedi vari nemici, per la Francia rivoluzionaria. Sul versante bellico, erano ancora in corso le guerre con Austria e Inghilterra. Ma era soprattutto la conflittualità interna ad impensierire i membri del Direttorio.
Tra le tante, meritano di essere
ricordate la congiura monarchica dell’ottobre 1795, repressa da un
giovane generale di nome Napoleone Bonaparte, e la Congiura degli eguali di François-Noël Babeuf, che aveva come obiettivo addirittura l’abolizione della proprietà privata.
Proprio per mettere fine a questi costanti rischi, nel 1797 la maggioranza del Direttorio effettuò essa stessa un colpo di stato, volto a mettere a tacere le opposizioni più radicali. Con l’aiuto dell’esercito, i direttori fecero arrestare molti deputati e riuscirono ad imporre controlli più severi sulla stampa.
5. La quinta fase: l’emergere di Napoleone (1797/1799)
Dal 1797 in poi il baricentro però si spostò altrove, tanto che possiamo dire che iniziò l’ultima e finale fase della Rivoluzione francese. Al centro c’erano sempre meno la politica, il confronto tra i vari club e le riforme, ma le azioni dell’esercito. E quindi le figure dei nuovi generali.
Le forze armate francesi durante gli anni precedenti, d’altra parte, erano state fortemente rinnovate. Come in ogni esercito dell’ancien régime, prima della rivoluzione tutti i ruoli di maggior responsabilità erano in mano ai nobili. Ma quando la rivoluzione era scoppiata, molti di questi erano fuggiti all’estero, lasciando l’esercito senza guida.
I nuovi ufficiali
Proprio questo vuoto organizzativo era stata una delle cause delle sconfitte iniziali nella guerra contro l’Austria. La Francia aveva però saputo presto trovare una soluzione al problema. Già durante il dominio giacobino, infatti, era stato permesso a molti giovani intraprendenti di fare rapidamente carriera nell’esercito, accedendo alle cariche più importanti.
Questi nuovi generali presero così presto in mano la situazione, esautorando anche lo stesso Direttorio, che invece sperava di poterli usare e manovrare a proprio piacimento. D’altra parte, fu lo stesso Direttorio a decidere di puntare molte delle sue carte sull’espansione militare.
Le repubbliche sorelle
La convinzione, infatti, era che in Francia la rivoluzione sarebbe sopravvissuta solo se fosse riuscita a crearsi una sorta di barriera protettiva attorno. Bisognava cioè – con la persuasione o con la forza – spingere i paesi vicini ad aderire alle idee rivoluzionarie, in modo che facessero da ostacolo contro i nemici della Francia stessa.
Questa strategia trovò la sua massima applicazione nel nuovo piano di attacco all’Austria preparato nel 1796. Il Direttorio decise infatti di aggredire il nemico con due movimenti convergenti: il primo, col grosso delle forze, doveva puntare su Vienna; il secondo doveva tenere impegnate alcune armate austriache nel nord Italia.
La seconda azione, che doveva agire da diversivo, si rivelò in realtà più vincente della prima. A guidarla era appunto un generale giovanissimo che abbiamo già menzionato, Napoleone Bonaparte, che nel corso del 1797 ottenne importantissime vittorie nel nord Italia, cacciando gli austriaci e assoggettando molti territori.
In quello stesso anno Napoleone firmò autonomamente, senza aspettare le istruzioni del Direttorio, una pace con l’Austria, il Trattato di Campoformio. Un trattato che aveva un peso rilevante per la nostra penisola, visto che ne assoggettava una parte alla Francia e metteva contemporaneamente fine alla storia della Repubblica Veneziana, ceduta invece all’Austria.
Così nel giro di pochi mesi in tutta Italia si crearono varie “repubbliche sorelle“, come quella Cispadana, quella Cisalpina, quella Romana e quella Partenopea. Repubbliche che, contrariamente a quanto speravano gli intellettuali italiani, non migliorarono affatto le condizioni delle classi più umili.
Napoleone
Da quel momento in poi, il destino della rivoluzione si legò a doppio filo a quello di Napoleone. Il condottiero ritornò in Francia più popolare che mai, preoccupando il Direttorio. Per questo motivo fu inviato in Egitto, con lo scopo di danneggiare i traffici commerciali inglesi e di tenerlo lontano da Parigi.
Nel nord Africa Napoleone ottenne importanti successi, ma rimase anche bloccato a lungo perché l’ammiraglio Nelson riuscì a distruggergli la flotta ancorata vicino ad Alessandria d’Egitto. Quando finalmente poté tornare in patria, il generale corso venne poi avvicinato dall’abate Sieyès.
Tutto si concretizzò il 18 e 19 brumaio 1799, quando la Costituzione fu sospesa e si formò un consolato
formato da Napoleone, Sieyès e Roger Ducos. Nel giro di pochi mesi,
però, Bonaparte avrebbe accentrato su di sé tutti i poteri, mettendo di
fatto fine alla Repubblica e alla rivoluzione, e creando l’Impero.
Ecco le cinque fasi fondamentali della Rivoluzione francese: vota la tua preferita.
Note e approfondimenti
- 1 Furono, d’altra parte, gli stessi austriaci a rafforzare questa convinzione, diffondendo dei proclami in cui minacciavano i francesi di saccheggio e distruzione se avessero fatto del male a Luigi XVI e Maria Antonietta. Si trattava del celebre Manifesto di Brunswick, che potete consultare in francese ad esempio qui.
- 2 Erano chiamati così perché non portavano le culottes, cioè i pantaloni che arrivavano al ginocchio e che erano indossati dalla nobiltà e dai borghesi ricchi. Questi “senza culottes” portavano invece i pantaloni lunghi, da lavoro.
- 3 Nel 1793 la Convenzione aveva intanto cambiato il nome dei mesi e più in generale il calendario. Il termidoro copriva un periodo compreso tra luglio ed agosto.