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Il mistero irrisolto di Clio, la musa di Artemisia Gentileschi: chi era davvero? La sorpresa che non ti aspetti
Tra le opere dell'artista, si distingue il dipinto del 1632 raffigurante Clio, la musa della Storia, una delle nove Muse della mitologia greca, conservato a Pisa presso Palazzo Blù. L’accostamento a Rosiers e il simbolo della forza e dell’ambizione dell’autrice

Artemisia Gentileschi, una delle più celebri pittrici del Seicento, ha lasciato un'eredità artistica straordinaria, caratterizzata da una rappresentazione intensa e drammatica delle figure femminili. Tra le sue opere, si distingue il dipinto del 1632 raffigurante Clio, la musa della Storia, una delle nove Muse della mitologia greca, conservato a Pisa presso Palazzo Blù.
La rappresentazione di Clio
Clio, il cui nome deriva dal verbo greco kleô (rendere celebre), è tradizionalmente rappresentata con una corona d'alloro, un rotolo di pergamena o un libro, simboli della sua funzione di custode della memoria e della conoscenza storica. Artemisia, con il suo inconfondibile stile barocco, conferisce alla musa un'aura di forza e determinazione, caratteristiche che spesso contraddistinguono le sue protagoniste.
Un’intima connessione con l’autrice
Nel dipinto, Clio appare come una figura maestosa e autorevole, con uno sguardo penetrante e un atteggiamento fiero. L'uso sapiente della luce e delle ombre, tipico della scuola caravaggesca a cui Artemisia si ispira, esalta il volume e il dinamismo della figura. La ricchezza cromatica e la precisione nei dettagli dell'abbigliamento e degli oggetti circostanti suggeriscono un'intima connessione tra la musa e l'artista stessa, quasi a voler affermare il ruolo della pittura come testimone della storia. Del resto non mancano gli studiosi propensi a interpretare l’opera come un riflesso della stessa Artemisia, all’epoca pittrice affermata e indipendente, desiderosa di consolidare la propria fama.
La firma sul libro accostata a Rosiers
Da considerare all’interno del dipinto la firma di Artemisia, accostata sul libro accanto al nome Rosiers. L’esperta Mary Garrard identifica questo nome con quello di Antonie de Rosières II, legato a Carlo di Lorena, duca di Guisa, probabile committente dell’opera. Mentre Raymond Ward Bissell, collega il nome a François de Rosières, storico della casata di Lorena. Questo legame suggerisce che il duca di Guisa volesse rivendicare il proprio posto nella storia, proprio come il suo antico consigliere. L’idea è che il duca Carlo di Guisa potrebbe aver commissionato il quadro inseguendo una sorta di riaffermazione della propria dignità dopo l’esilio in Italia conseguente alla sconfitta politica del 1631. Quanto alla firma della pittrice non è escluso sia lì per sottolineare il desiderio di immortalità artistica. Due esigenze provenienti da due protagonisti legati al dipinto, insomma. Tanto che la storica Elizabeth Cropper ha messo in risalto come la posa altera di Clio stia a significare la fama bramata dal duca, ma anche quella che Artemisia desiderava consolidare.
Un simbolo della forza di Artemisia
Sicuramente il dipinto non è solo un omaggio alla figura mitologica di Clio, ma anche un'affermazione del potere della memoria e della narrazione storica, temi particolarmente cari ad Artemisia. Attualmente è comunemente ritenuto legato a vicende politiche e dinastiche e, allo stesso tempo, un simbolo della forza e dell’ambizione della sua autrice, che con il suo prorompente talento artistico riuscì ad emergere, non senza lottare, in un mondo dominato dagli uomini. In definitiva l'opera di Artemisia Gentileschi continua a essere studiata e apprezzata per la sua capacità di unire il linguaggio barocco con una visione profondamente personale e innovativa della figura femminile. La sua Clio, oltre a rappresentare la musa della Storia, diventa dunque un simbolo della voce delle donne nell'arte e nella storia, un messaggio che risuona ancora oggi con grande attualità.